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Fino agli anni 80 circa i pastori di Fonni transumavano durante i mesi invernali con le proprie greggi verso le zone di pianura (Campidano - Nurra). Il trasferimento delle greggi avveniva a piedi, un tragitto spesso lungo una settimana. La permanenza nel campidano si protraeva fino al mese di maggio, al termine del quale i pastori percorrevano il tragitto inverso per rientrare in montagna con le loro greggi.

In alcuni punti prestabiliti, in prossimità del paese, si bivaccava per l'ultima notte; l'arrivo del gregge era anticipato da alcuni pastori a cavallo o con l'asino i quali allestivano una "mandra" temporanea per la mungitura che si effettuava prima dell'alba. Le donne di casa nel frattempo preparavano "s'ismurgiu" che consisteva in un piatto tipico di Fonni "sa patata in lardu", fatto con patate, cipolle, ossa e lardo di maiale salato, conservata appositamente per l'occasione.

Il latte di questa giornata venivan donato a parenti e vicini, ma soprattutto agli anziani e ai poveri del paese per dare solennità a "SA DIE PRIMARGIA", rinnovamento dei pascoli e reintegrazione nella comunità. La distribuzione vedeva protagonisti i bambini della famiglia o del vicinato, ben lieti di percorrere le vie del paese con il tipico contenitore di latta "SU DIDONEDDU DE SU LATTE", motivati dal ricevere in cambio qualche soldino anche dalla famiglia più povera.

 Sa die primargia
Domenica 6 h. 15:00 Piazza San Giovanni
Gruppo Cortes pro Loco
A Atteros annos mengius!!!

La lana sarda - La tintura (s'intinghidura)

Su truvisciu per il giallo,  il mallo di noce per il marrone e una manciata di sale grosso nell’acqua.

Era così, attingendo al colore di erbe, piante e fiori precedentemente messi a macerare, che in tempi non troppo remoti in Sardegna si colorava la lana delle pecore, lavata e fatta asciugare, dopo il rito primaverile della tosatura. Un lavoro lungo e di pazienza che trovava soddisfazione nel risultato del lavoro poi rifinito al telaio: tappeti, coperte (lentholos de urvessi), bisacce, o parti  del costume tradizionale sia maschile che femminile.

Le fasi della filiera della lana, dalla tosatura, appunto, alla lavorazione sono: la tosatura delle pecore compiuta da mani esperte armate di veloci cesoie, il lavaggio e l’asciugatura,  la cardatura, le pettinatura (sa teppenadura),  la filatura, ossia l’attorcigliamento con il fuso, la formazione dei gomitoli o delle matasse,  la preparazione del colore in cui intingere il prodotto, la preparazione dell’ordito per la predisposizione del telaio (sa orditura), la tessitura.

 

L'orbace (s'urvessi)

Tessuto di lana tipico della Sardegna, tecnicamente un panno ottenuto mediante una specifica lavorazione che risale ad epoche molto antiche.

La struttura del tessuto  è a tela e il colore, tipicamente scuro, è dato con la tintura. La particolarità dell'orbace, ottenuto selezionando i peli più lunghi durante la fase della cardatura, è quella di aver subito, dopo la tessitura, un processo di follatura (sa calladura nella gualchiera, sa callera) che ne provoca l'infeltrimento, in modo da ottenere un panno robusto ed impermeabile. Normalmente l'orbace viene prodotto in colori scuri, per lo più nero o grigio, oppure in tonalità bordeaux per alcune parti del costume femminile.

 

Le fasi della filiera della lana

Tosatura: la lavorazione dell’orbace (s'urvessi) iniziava dalla scelta della lana durante il momento della tosatura, compiuta da mani esperte armate di veloci cesoie e da altrettanta esperienza nella scelta della pecora dal vello lungo e morbido (sa lana prus irrossa).

 

Il lavaggio e l'asciugatura: una volta scelta, la lana veniva portata al fiume per essere lavata. Si preparava il fuoco e si metteva dell’acqua in un pentolone (sa lappia) nel quale veniva immersa la lana (sa suìda) poco per volta e lavata al fine di eliminare tutto il grasso. Non appena l’acqua era ben calda, senza che arrivasse ad ebollizione, veniva girata con l’aiuto di un bastone e dopo qualche minuto era pronta per esser risciacquata nell’acqua del fiume. La scelta del luogo era importante, con accesso diretto al fiume e la necessaria presenza di pietre di grandi dimensioni di modo tale che la lana potesse essere facilmente strofinata. Era necessario sciacquare la lana diverse volte finché l’acqua non risultava pulita, eliminando in tal modo tutta la sporcizia accumulata nel manto della pecora nell’arco di un anno. Si stendeva al sole, sui rovi o sugli arbusti, e una volta asciugata veniva ritirata e riportata in paese

 

La cardatura e la pettinatura: la lavorazione vera e propria iniziava con la cardatura della lana, ossia "il gramminare", che consisteva nell'aprirla bene con le mani e continuare fino ad eliminare i vari residui che non erano andati via con il lavaggio. Dopo averla cardata si passava alla fase della pettinatura (teppenare) che avveniva in due tempi. La lana veniva prima pettinata con gli appositi pettini fatti con il manico in legno e dei denti in ferro. Si metteva da parte la fibra più lunga, quella che rimaneva sui pettini (su pippideddu), la quale veniva usata per filati più grossi. In un secondo tempo si ripassava nei pettini per formare "su nidu" (avvolta di modo da formare una specie di nido) poi messa nella "crunnuca" per poterla filare. "Sa crunnuca" era un pezzo di canna, nella quale veniva avvolta la lana in modo leggero da non smontare su nidu.

 

La filatura e l'orditura: Cominciava ora la filatura vera e propria con il fuso (s'ussu) che era un pezzo di legno con una testa tonda e concava, con un gancetto di ferro nella sua estremità nel quale si incastrava il filo. La filatura avveniva facendo girare il fuso in senso orario, tirando le fibre in modo da rendere sottile il filo che si avvolgeva al fuso. Una volta riempito il fuso si creava il gomitolo (su gromeru de ilau). Quando si avevano abbastanza gomitoli si passava all’orditura che consisteva del disporre su tre pali il filato, i tre pali venivano allineati, due sistemati vicini tra loro, il terzo più distante a seconda della misura che si voleva dell’ordito. Occorrevano quattro persone, tre a sinistra dei pali e la quarta a destra, ognuna con un gomitolo. I quattro gomitoli venivano legati all’estremità e infilati nel palo più distante. Si girava intorno ai pali formando un incrocio nei pali più vicini fino ad ottenere i fili necessari per poterlo sistemare nel telaio. Una volta finito l’ordito veniva fatta la treccia e riposta in una cesta.

 

Tessitura: una volta fatta la treccia dell’ordito si passava alla tessitura. L'ordito veniva avvolto in "s’insurvu", un grosso bastone con una scanalatura nella parte superiore, nel quale veniva inserita una spranga sottile di ferro (sa vrèttìe) dove venivano sistemati i fili. Si avvolgevano tutti i fili facendo ruotare s’insurvu e una volta riempito avveniva sa lissadura che consisteva nell’infilare ciascun filo nei licci (sos lissos).

I licci sono quattro, ciascuno formato da un intreccio di due fili di cotone tenuti da due bastoni paralleli, in ogni intreccio viene sistemato un filo di lana (circa 1300 fili per 60 cm di larghezza di orbace). Dopo aver infilato tutti i fili si passava a s’intepenadura dove i fili venivano fatti passare a due a due attraverso i denti di un pettine di canna. Una volta svolto il procedimento veniva avvolto nel secondo insurvu uguale al precedente, dove i fili venivano divisi in piccoli mazzetti e annodati alla vrèttìe. Ora si iniziava a tessere.

La tessitura avveniva facendo spostare i licci con i piedi attraverso delle pedane in pelle (che per maggiore comodità venivano fatte in canne perché il piede poggiava meglio). Ogni liccio che veniva spostato, veniva passata una trama con la spola e successivamente il filo fermato (maggiau) dall’incaffia, una cassa di legno che contiene il pettine. Procedevano in questo modo sino a ottenere la metratura desiderata (su tessone de urvessi).

 

 

Mostra del costume femminile - Le fasi della lavorazione "progetto di recupero degli antichi mestieri" corte n° 28

 

Recupero delle più antiche e tradizionali conoscenze in merito ai diversi procedimenti insiti nella realizzazione del costume femminile tradizionale fonnese. Un laboratorio gestito da sarte e appassionate dell'arte del saper fare, una esposizione da loro direttamente curata, frutto del progetto di recupero degli antichi mestieri che da anni la Pro Loco porta avanti con grandissimo successo.

 

 

 

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